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Uno
poco di foco, che in un piccolo carbone infra la tiepida cenere remaso era,
del poco omore, che in esso restava, carestiosa e poveramente sé medesimo
notrìa, quando la ministra della cucina, per usare con quello l'ordinario
suo cibario offizio, quivi apparve, e, poste le legne nel focolare, e col
solfanello, già resucitato d'esso, già quasi morto, una piccola fiammella, e
infra le ordinate legne quella appresa, e posta di sopra la caldara, sanz'altro
sospetto, di lì sicuramente si parte.
Allora, rallegratosi il foco delle sopra sé poste secche legne, comincia a
elevarsi, cacciando l'aria delli intervalli d'esse legne, infra quelle con
ischerzevole e giocoso transito, se stessi tesseva. Cominciato a spirare
fori dell' intervalli delle legne, di quelli a se stessi dilettevoli
finestre fatto avea; e cacciato fori di lucenti e rutilanti fiammelle,
subito discaccia le oscure tenebre della serrata cucina; e col galdio le
fiamme già cresciute scherzavano coll'aria d'esse circundatrice e con dolce
mormorio cantando creavan suave sonito.
Vedutosi già fortemente essere sopra delle legne cresciuto e fatto assai
grande, cominciò a levare il mansueto e tranquillo animo in gonfiata e
incomportabile superbia, facendo quasi a sé credere tirare tutto el
superiore elemento sopra le poche legne. E cominciato a sbuffare, e empiendo
di scoppi e scintillanti sfavillamenti tutto il circunstante focolare, già
le fiamme fatte grosse, unitamente si dirizzavano inverso l'aria, quando le
fiamme più altiere percosser nel fondo della superiore caldara.
Il
fuoco superbo e il paiolo - Novelle - Leonardo Da Vinci |
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Quando
eravamo bambini, ci raccontavano la suggestiva storia del risotto con lo
zafferano. Per chi ancora non la conoscesse, eccola: “Zafferano” era il
sopranome di un giovane vetraio che lavorava nella Fabbrica del Duomo di
Milano alla vetrata di Sant’Elena; era così chiamato perché aggiungeva ai
suoi colori un pizzico di polvere del fiore (storicamente, di origine
orientale) per ottenere effetti suggestivi nei tasselli di vetro.
Quest’usanza fu oggetto delle osservazioni del suo maestro, che un giorno lo
canzonò, asserendo che di lì in avanti avrebbe messo lo zafferano persino
nel risotto. Quando avvenne che la figlia del maestro convolò a nozze, un
gruppo di valletti si avvicinò alla tavola nuziale, portando delle grosse
marmitte con risotto fumante, dove il discepolo aveva messo il prezioso
ingrediente per fare omaggio al maestro; l’aspetto dorato e il sapore
succulento fecero esclamare i convitati e per tutte le strade corse la voce
della ricetta del giovane Zafferano, che conquistò così la città.
In Brianza era usanza aggiungere il vino durante la prima fase di cottura
del riso (dopo, vale a dire, la sua tostatura); di riflesso, questo
ingrediente fu adottato anche nel milanese, portato (pare) dai brianzoli che
lavoravano nelle case patrizie della città. |
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