A pochi passi da Montevecchia, nella rassicurante cornice delle colline Brianzole, sorge, sulle tracce di un casolare sapientemente ristrutturato, il Ristorante Tricudai. Un ristorante unico nel suo genere, che, come una bellissima fiaba, rimane per sempre impresso nella memoria di chi lo visita, grazie alla sua raffinata semplicità, che si assapora nei piatti e si respira negli ambienti.
Una location famigliare, che si fa riconoscere subito dagli ambienti esterni. Gli splendidi giardini, dove tra gli aceri rossi e fiori si trova un piccolo stagno con la sua fontana, danno vita ad uno scenario suggestivo, che, soprattutto durante la bella stagione, diviene una cornice perfetta per ogni tipo di cerimonia, ricorrenza o evento speciale. Altrettanto deliziose, le sale interne che stupiscono per la cura e l'attenzione rivolta ad ogni più piccolo dettaglio. All'interno di queste, è possibile assaporare tutto il gusto della tradizione che, grazie alla maestria di chef Stefano, si trasforma in piatti assolutamente memorabili.
Una volta, a Bologna fecero un palazzo di gelato proprio in Piazza Maggiore, e i bambini venivano da lontano a dargli una leccatina.
Il tetto era di panna montata. Il fumo dei comignoli di zucchero filato, i comignoli di frutta candita. Tutto il resto era di gelato: le porte di gelato, i muri di gelato, i mobili di gelato. Un bambino piccolissimo si era attaccato ad un tavolo e gli leccò le zampe una per una, fin che il tavolo gli crollò addosso con tutti i piatti, e i piatti erano di gelato al cioccolato,il più buono.
Una guardia del Comune, ad un certo punto, si accorse che una finestra si scioglieva. I vetri erano di gelato alla fragola, e si squagliavano in rivoletti rosa. “Presto!” gridò la guardia. “Più presto ancora”. E tutti giù a leccare più presto, per non lasciare andare perduta una sola goccia di quel capolavoro. “Una poltrona!” implorava una vecchiettina che non riusciva a farsi largo fra la folla.
“Una poltrona per una povera vecchia. Chi me la porta? Coi braccioli, se é possibile”. Un generoso pompiere corse a prenderle una poltrona di gelato alla crema e pistacchio, e la povera vecchietta, tutta beata, cominciò a leccarla proprio dai braccioli.
Fu un gran giorno, quello e per ordine dei dottori nessuno ebbe il mal di pancia. Ancora adesso, quando i bambini chiedono un altro gelato, i genitori sospirano: ” Eh, già, per te ce ne vorrebbe un palazzo intero, come quello di Bologna”.
“Il palazzo di gelato” da Favole al telefono di Gianni Rodari
Uno poco di foco, che in un piccolo carbone infra la tiepida cenere remaso era, del poco omore, che in esso restava, carestiosa e poveramente sé medesimo notrìa, quando la ministra della cucina, per usare con quello l'ordinario suo cibario offizio, quivi apparve, e, poste le legne nel focolare, e col solfanello, già resucitato d'esso, già quasi morto, una piccola fiammella, e infra le ordinate legne quella appresa, e posta di sopra la caldara, sanz'altro sospetto, di lì sicuramente si parte.
Allora, rallegratosi il foco delle sopra sé poste secche legne, comincia a elevarsi, cacciando l'aria delli intervalli d'esse legne, infra quelle con ischerzevole e giocoso transito, se stessi tesseva. Cominciato a spirare fori dell' intervalli delle legne, di quelli a se stessi dilettevoli finestre fatto avea; e cacciato fori di lucenti e rutilanti fiammelle, subito discaccia le oscure tenebre della serrata cucina; e col galdio le fiamme già cresciute scherzavano coll'aria d'esse circundatrice e con dolce mormorio cantando creavan suave sonito.
Vedutosi già fortemente essere sopra delle legne cresciuto e fatto assai grande, cominciò a levare il mansueto e tranquillo animo in gonfiata e incomportabile superbia, facendo quasi a sé credere tirare tutto el superiore elemento sopra le poche legne. E cominciato a sbuffare, e empiendo di scoppi e scintillanti sfavillamenti tutto il circunstante focolare, già le fiamme fatte grosse, unitamente si dirizzavano inverso l'aria, quando le fiamme più altiere percosser nel fondo della superiore caldara.
Il fuoco superbo e il paiolo - Novelle - Leonardo Da Vinci
Quando eravamo bambini, ci raccontavano la suggestiva storia del risotto con lo zafferano. Per chi ancora non la conoscesse, eccola: “Zafferano” era il sopranome di un giovane vetraio che lavorava nella Fabbrica del Duomo di Milano alla vetrata di Sant’Elena; era così chiamato perché aggiungeva ai suoi colori un pizzico di polvere del fiore (storicamente, di origine orientale) per ottenere effetti suggestivi nei tasselli di vetro. Quest’usanza fu oggetto delle osservazioni del suo maestro, che un giorno lo canzonò, asserendo che di lì in avanti avrebbe messo lo zafferano persino nel risotto. Quando avvenne che la figlia del maestro convolò a nozze, un gruppo di valletti si avvicinò alla tavola nuziale, portando delle grosse marmitte con risotto fumante, dove il discepolo aveva messo il prezioso ingrediente per fare omaggio al maestro; l’aspetto dorato e il sapore succulento fecero esclamare i convitati e per tutte le strade corse la voce della ricetta del giovane Zafferano, che conquistò così la città.
In Brianza era usanza aggiungere il vino durante la prima fase di cottura del riso (dopo, vale a dire, la sua tostatura); di riflesso, questo ingrediente fu adottato anche nel milanese, portato (pare) dai brianzoli che lavoravano nelle case patrizie della città.
Lunedì
CHIUSO
Martedì
07.00 - 16.00
Mercoledì
07.00 - 22.00
Giovedì
07.00 - 22.00
Venerdì
07.00 - 22.00
Sabato
07.30 - 23.00
Domenica
08.00 - 22.00
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